martedì 24 settembre 2013

Sbalzo

Il cancello si era aperto. Credo fossimo rimasti a questo punto, quando per la seconda volta registrammo picchi di energia anomali provenire da quella struttura.

Tutti gli alieni erano partiti dal pianeta per dirigersi verso di esso, non sapevamo se per ricevere nuove visite o partire come erano venuti.

Purtroppo non partirono, ma apparvero altre navi, molte navi.

All'epoca non eravamo dotati di grandi difese spaziali e planetarie. Espandendoci nello spazio profondo avevamo preventivato la possibilità di incontrare specie ostili, ma fino a quel momento era rimasto tutto praticamente inutilizzato. Fino a quel momento.

Sciamarono a migliaia dal cancello: navi da guerra, corazzate, incrociatori e piccoli caccia. L'allerta non fu mondiale, ma universale. Loro erano già pronti all'attacco, noi dovevamo ancora capire da quale parte iniziare a difenderci. Non c'era mai stata una battaglia del genere, nemmeno la terza guerra mondiale poteva competere.

Mettemmo in funzione ogni difesa planetaria mai concepita, costruita o solo ideata per difenderci da quegli aggressori tecnologicamente più avanzati e motivati, ma era come cercare di abbattere una parete di granito usando solo un piccone.

Il primo giorno fu devastante, le vittime furono milioni, ma alla fine riuscimmo ad impedire loro di prendere la terra. Era questione di tempo, certo, ma per il momento la culla della nostra civiltà era salva. Seguirono tre giorni di assedio serrato in cui non smisero mai di attaccare, minando seriamente la resistenza dello scudo planetario.

In quei giorni io e molti professori lavoravamo per gestire le risorse energetiche, deviando qualunque fonte non fosse strettamente necessaria alla sopravvivenza verso gli scudi, ma solo difenderci non sarebbe mai bastato, dovevamo contrattaccare.

Fu una mia ipotesi che diede vita a quella che sarebbe stato l'ultimo colpo di coda dell'umanità.

Stavamo perdendo, lentamente e inesorabilmente. Nessuno voleva rassegnarsi a quella eventualità, ma era più che palese. Nel giro di cinque giorni l'intero sistema solare era stato devastato, solo la terra opponeva una strenua resistenza, perdendo sempre più terreno. Molti smisero di lavorare o combattere, spesso gli invasori facevano precipitare i rottami presenti nello spazio sul pianeta, una vera e propria pioggia di meteore.

Stimolato dalla pioggia di detriti proposi la mia ultima idea, qualcosa che il fisico Edward Teller aveva teorizzato ben prima del ventunesimo secolo: un cannone nucleare. L'idea era teoricamente semplice: scavare un pozzo, porre sul fondo una testata nucleare, coprire tutto con acqua e tappare il pozzo con un sigillo metallico pesante migliaia di tonnellate.

Una volta detonata la testata la pressione avrebbe fatto schizzare il tappo verso lo spazio a più di quaranta
chilometri al secondo, distruggendo qualunque cosa sul suo percorso. Era un'idea, ed eravamo ai ferri corti, forse fu per questo che in qualche modo funzionò.

Ci vollero altri tre giorni per la preparazione, altri tre giorni di morti, ma alla fine lanciammo l'ultima offensiva planetaria.

Furono scavati migliaia di pozzi e riempiti altrettanti già esistenti, rendendo di fatto la terra stessa un'arma pronta a esplodere. Dovemmo aspettare, poiché la nostra unica possibilità era dirigere il maggior numero possibile di proiettili verso il cancello, sperando di provocare abbastanza danni in modo da inabilitarlo.

Non arrivai mai al giorno del lancio.

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